La Rocca
Di questa Rocca di Vernio si parla come di una fortificazione molto antica, risalente addirittura ai conti Cadolingi e da essi passata agli Alberti dopo il 1113, quando i castelli di Vernio e di Mangona toccarono in eredità alla contessa Cecilia, vedova di Ugo dei Cadolingi, che sposò in terze nozze il conte Bermardo Tancredi detto Nontigiova degli Alberti di Prato. Simbolo del potere degli Alberti, la Rocca passò ai conti Bardi quando essi comprarono il feudo di Vernio e fu dimora estiva per i ricchi banchieri fiorentini che si trasferivano nei loro possessi per una parte dell'anno. Essa fu varie volte assediata: nel 1341 il conte Piero dei bardi capitolò sotto l'assedio portato dai soldati della Repubblica Fiorentina e da 200 fanti mandati dal Comune di Pistoia. Il Castello gli fu restituito nel 1342 dietro versamento di un'ingente somma di denaro. La Rocca venne a più riprese manomessa da lavori di fortificazione, come quelli effettuati da Sozzo dei bardi nel 1438, nel timore di essere assalito dalle truppe di Niccolò Piccinino, condottiero del duca di Milano. Sappiamo che nel 1482 fu assalita, espugnata e saccheggiata dalle bande armate al servizio di papa Sisto IV, nonostante la fiera difesa fatta dal conte Filippo Bardi. Nel 1778 il conte Flaminio dei Bardi vi fece costruire angustissime carceri, alte appena due braccia, a scopo intimidatorio per debellare la rivolta popolare del 1777. Nella prima metà dell'Ottocento il Palazzo con i resti delle fortificazioni della Rocca fu concesso dall'Opera Pia di S. Niccolò di Bari in enfiteusi a Carlo Gualtieri che dopo averne curato il restauro, ne fece la sua dimora. Attualmente di questa struttura fortificata (la cui proprietà è stata recentemente ceduta dai Gualtieri), non restano che le tracce, anche se si continuano ad indicare come Rocca il Palazzo Comitale ed il gruppo di case circostanti, all'interno del castello. Giungendo a piedi dal Borgo di San Quirico il sentiero porta davanti ad un ampio arcone a pieno centro in bozze di arenaria, tardo quattrocentesco che dà accesso al Castello. Subito all'interno sulla sinistra è la cappella di Sant'Agata, costruita nel 1556 ma notevolmente trasformata nel 1706 per problemi causati soprattutto dall'umidità. Attualmente nella cappella si trovano le tombe dei componenti della famiglia Gualtieri. Oltre il vasto cortile che si apre a fianco della cappella era il cassero - nella zona più alta del colle - concluso nell'angolo settentrionale della cinta dal robusto torrione del Maschio, detto il Roccacino, inizialmente occupato dall'abitazione signorile, dall'archivio e dalle prigioni, andato progressivamente in rovina tra Settecento e Ottocento.
Si notano anche alcuni elementi fortificati di epoca quattro-cinquecentesca come una feritoia da arma da fuoco posta nella cortina muraria che guarda la frazione di Sasseta, costituita da una pietra squadrata con una fessura particolare che permetteva l'appoggio della canna e la mira. In periodo rinascimentale, intorno al XV-XVI secolo, al cassero si collegò una nuova ampia residenza per i conti Bardi, in forme di Palazzo, che si addossò al tratto occidentale della cinta muraria. Più difficile è ipotizzare l'evoluzione costruttiva dell'edificio, anche se bisogna ricordare le numerose opere interne (scala, cornici, solai, affreschi) di epoca settecentesca e ottocentesca. Ancora oggi la residenza si può ammirare in tutta la sua bellezza, al piano terra si trovano le cucine e alcune sale, al primo piano un salone con pareti decorate da tempere con paesaggi e figure che si possono far risalire al primo ottocento mentre al piano interrato si trovano due locali senza alcuna apertura sull'esterno, che probabilmente sono i resti delle prigioni dei conti Bardi e tracce di un camminamento di guardia che forse univa il Palazzo al cassero.
Il presente testo e stato rielaborato facendo riferimento ai seguenti libri:
"Guida al Territorio della Comunità Montana - Val di Bisenzio e Montemurlo" - Comunità Montana
"Vernio - Storia, arte e leggende" - Manfredo Robazza
"Prato e la sua Provincia" - APT
Le foto sono di Fiorenzo Fallanti